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Metallurgico e siderurgico


 

Dall'Ottocento alla grande guerra

Alla fine dell’Ottocento il galoppante progresso tecnologico di scala europea coinvolge anche quelle aree dell’attuale Friuli Venezia Giulia nelle quali, sin dalla metà del secolo, si erano avuti importanti sviluppi in termini di innovazione tecnica e industriale.

Nell’area triestina è in primo luogo la forza commerciale e marittima del porto a consentire la ripresa del settore siderurgico austriaco dopo la depressione seguita alla crisi della Borsa del 1873. Fin dal secolo precedente il commercio di ferro austriaco passa attraverso Trieste, città nella quale le attività metallurgiche sono stimolate da quelle legate alla navigazione – si pensi, per la prima metà dell’Ottocento, alla fonderia di Giorgio Simeone Strudthoff, dalla quale si sviluppano le Officine meccaniche di Sant’Andrea che nel 1850 occupano 400 lavoratori –. Nel 1895 la lubianese Krainische Industrie Gesellschaft (KIG, Società Industriale della Carniola) fonda a Trieste uno stabilimento siderurgico per la produzione di ghisa e ferrolega indirizzate all’esportazione ma anche a servizio dell’affermata industria naval-meccanica locale. Negli anni successivi, l’ampliamento della Ferriera e il potenziamento degli impianti portano ad un costante aumento della capacità produttiva e ad un’espansione del raggio commerciale ed economico. La Ferriera diviene il centro siderurgico più importante dell’Impero, a capo delle produzioni di laminati per la Marina militare e i cantieri navali di Trieste, Pola e Monfalcone. Lo scoppio della prima guerra mondiale determina un rapido declino dello stabilimento, i cui impianti rimangono forzatamente fermi per un quasi un decennio.

Ancora a metà Ottocento le attività metallurgiche, ancorate ad una dimensione ancora artigianale, sono presenti in maniera marginale nell’economia friulana. Nell’Udinese, infatti, l’industria metallurgica si traduce per lo più nella fusione di campane e oggetti in bronzo e ottone fino al 1882, quando iniziano ad operare gli impianti della Società Anonima delle Ferriere di Udine, dell’austriaco Neufeld e degli udinesi Volpe e Orter. Le Ferriere gestiscono la trasformazione in ferro della ghisa proveniente dalla Stiria e la successiva produzione di laminato commercializzato in tutta Italia. Nel 1905 si dotano di un forno Martin-Siemens per produrre l’acciaio e di alcune officine per la meccanizzazione di altre lavorazioni, completando in tal modo il contenuto comparto metalmeccanico del Friuli. A Udine è presente anche la ditta Bertoli, fondata nel 1813 come piccola officina artigianale per la costruzione di vanghe, badili e altri attrezzi agricoli. Gradualmente, e fino allo scoppio della prima guerra mondiale, la Bertoli amplia le proprie dimensioni e l’attività con i reparti di forgiatura e una fonderia di ghisa.

A Pordenone la Officine Savio inizia la propria attività nel 1911 come opificio per riparazione e manutenzione, e dal secondo dopoguerra anche costruzione di macchine per l’industria tessile, mentre dal 1916 la ditta Zanussi opera nella fabbricazione di elementi per cucine.

Nel Goriziano, infine, le attività metallurgiche e meccaniche sono in funzione del comparto tessile-cotoniero, che ha caratterizzato il decollo del tessuto industriale fin dalla metà dell’Ottocento.

Dal primo al secondo dopoguera

Nell’immediato primo dopoguerra, di fronte al dissolvimento dell’Impero e alla modifica dei confini nazionali, la Ferriera di Trieste si trova coinvolta in complesse questioni politiche ed economiche che si risolvono solo nel 1924. Nell’aprile di quell’anno, dopo la costituzione della Società Stabilimento di Servola e l’affido degli impianti di produzione al Consorzio Siderurgico per gli Alti Forni ed Acciaierie della Venezia Giulia, lo stabilimento entra nel sistema siderurgico italiano. Nel 1931 viene assorbito dall’ILVA di Genova – società di proprietà dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) –, che avvia una fase di ammodernamento e potenziamento degli impianti. La crescita risulta importante e nel 1939 vi sono occupate quasi 1700 lavoratori. Gli eventi del secondo conflitto mondiale limitano fortemente l’attività dello stabilimento. Nel febbraio 1945 viene spento il suo terzo altoforno, dopo che i primi erano stati disattivati tra il 1942 e il 1943 e una serie di bombardamenti aerei tra 1944 e 1945 aveva gravemente danneggiato i locali della cokeria e dell’acciaieria.

In Friuli, dopo le pesantissime distruzioni portate dalla Grande guerra, la difficile ripresa delle attività vede delle profonde trasformazioni dei siti produttivi e degli assetti societari. Nel Tarvisiano, la Acciaierie Weissenfels S.p.A. nel 1923 viene acquisita da una società italiana guidata da Guido Segre – imprenditore di origine piemontese e saldamente inserito nell’intreccio dei vertici delle imprese che costituivano l’asse portante dell’economia industriale e finanziaria triestina –. La produzione di catene continua a caratterizzare l’attività dello stabilimento, che già prima del conflitto impiegava diverse centinaia di lavoratori e che rappresenta per decenni un importante elemento dell’economia locale – negli anni Settanta conta seicento dipendenti –.

Nel capoluogo friulano, nel 1922 le Ferriere sono incorporate dalla Cantieri Navali e Acciaierie di Venezia, che dal 1929 entrano a far parte del gruppo Acciaierie Venete di Marghera. Il complesso udinese rimane in vita fino al 1933 allorché viene chiuso dall’ILVA, divenutane proprietaria dal 1931. Nell’anno successivo la ditta Zadussi e Galotto costruisce un piccolo impianto per la laminazione di rottami di ferro dal quale, in poco meno di un decennio, si sviluppa la SAFAU (Società per Azioni Ferriere e Acciaierie di Udine). A Udine opera ancora anche la Bertoli, costituitasi in S.p.A nel 1940 e che conosce una fase di ampliamento e ammodernamento. A Buttrio, infine, dal 1929 Mario Danieli trasferisce da Brescia la produzione di attrezzature per la lavorazione di acciaio e macchine ausiliarie per gli impianti di laminazione.

A Gorizia, accanto al Cotonificio di Piedimonte, tra il 1925 e il 1927 sono ultimate le strutture della SAFOG (Società Anonima Fonderie Officine di Gorizia) per la produzione di ghisa. Lo stabilimento, che lavora anche per il gruppo CRDA (Cantieri Riuniti dell’Adriatico) dal quale viene assorbita nel 1940, beneficia del traino della produzione bellica nel corso degli anni Trenta.

Dal secondo dopoguera ad oggi

Negli anni Cinquanta il settore dell’industria metallurgica e meccanica triestina, accanto al comparto navalmeccanico, si presenta di un’ampiezza non indifferente. Nel 1951 sono infatti censite 625 imprese con circa 12 mila addetti comprendenti fonderie di seconda fusione, aziende di costruzione di macchine motrici e operatrici, impianti di sollevamento e trasporti, compressori e valvole, carpenteria metallica, fabbricazione di prodotti meccanici e meccanica di precisione, officine per lavorazioni e riparazioni.

L’attività della Ferriera riparte gradualmente nel 1948 con una serie di demolizioni di impianti superati o inservibili e di adeguamenti delle strutture produttive. Nel 1954, significativamente dopo il ritorno di Trieste alla sovranità italiana, si attiva il nuovo impianto di preparazione minerali (PREM) e la prima macchina a colare. Tra gli anni Sessanta e Novanta si susseguono diversi avvicendamenti societari, che testimoniano sia i tentativi di rilancio che le fasi di difficoltà dello stabilimento. Nel 1961 la Ferriera passa nella proprietà di Italsider – società pubblica nata dalla fusione di ILVA con Acciaierie di Cornigliano – e vede la dismissione dell’acciaieria e l’ampliamento del reparto fonderia. Sono anni in cui vengono avviati importanti ammodernamenti, con abbattimenti e ricostruzioni di macchinari e altoforni, in seguito alla decisione di specializzare la Ferriera nella produzione di lingottiere per rifornire le grandi acciaierie italiane ed estere. Viene potenziato anche il trasporto marittimo, attraverso nuovi pontili e sistemi di carico e scarico per le navi. Nel 1982, dopo un breve periodo sotto la Nuova Italsider, la proprietà dello stabilimento passa alle Acciaierie di Terni con la denominazione Società Attività Industriali Triestine (AIT), mentre è del 1988 il temporaneo passaggio al gruppo friulano Pittini. Dopo un commissariamento che vede la chiusura degli impianti, nel 1995 lo stabilimento di Servola passa sotto il controllo del consorzio dei gruppi bresciani Lucchini e Bolmat, che riattivano gradualmente la produzione e riassorbono gli addetti in cassa integrazione. Una nuova crisi porta alla chiusura dell’acciaieria nel 2002 e all’ingresso del gruppo russo Severstal nel 2005. Nel 2015, infine, interviene il gruppo lombardo Arvedi, con obiettivi di reindustrializzazione dell’area e messa in sicurezza ambientale degli impianti. Nella primavera del 2020, dopo 123 anni di attività, ha luogo lo spegnimento dell’area a caldo, primo passo della dismissione e riconversione delle attività. (vedi https://www.inheritage.it/it/scheda/archivio-fiom-cgil-presso-terni-s-p-a--di-trieste.htm)

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta anche l’industria metallurgico-meccanica friulana conosce una marcata crescita – contemporaneamente si sviluppa l’organizzazione dei lavoratori degli stabilimenti siderurgici, che a lungo rappresentano una punta avanzata del movimento sindacale friulano –. Gli impianti dell’udinese SAFAU vedono l’aggiunta di forni di maggiore tonnellaggio e l’avvio di produzioni diversificate, per arrivare negli anni Settanta alla produzione di laminati in acciaio. Sono anni in cui raggiunge un alto grado di meccanizzazione ed espansione commerciale in Italia e all’estero, e un’occupazione pari a circa 1500 dipendenti. Le Officine Bertoli segnano a loro volta un grado di crescita non minore, con investimenti che portano la società ad una produzione altamente qualificata di acciaio indirizzata in gran parte all’esportazione

Alla fine degli anni Settanta una delle più profonde crisi del settore siderurgico colpisce le aziende udinesi – i cui lavoratori sono protagonisti di lotte che portano anche all’occupazione degli stabilimenti –. L’intervento del gruppo Danieli, alla fine degli anni Ottanta, le conduce ad una riorganizzazione produttiva e societaria che dà vita alle Acciaierie Bertoli SAFAU (ABS). Di fronte alla crisi del settore siderurgico degli anni Settanta, la Danieli introduce una serie di innovazioni e passa alla consegna di impianti produttivi chiavi in mano – mantenendo un alto livello di occupati, attorno ai 1600 –. Dopo la quotazione in borsa nel 1984 – e l’interruzione del clima di collaborazione che aveva caratterizzato le relazioni industriali all’interno degli stabilimenti – l’azienda conosce un grande sviluppo, che in un quindicennio porta al raddoppio degli addetti negli impianti italiani.

Importante presenza nel panorama industriale friulano è anche quella del gruppo Pittini a Osoppo, sviluppatosi a partire da una prima trafileria a Gemona e pesantemente colpito dal terremoto del 1976, che si è orientato verso la produzione di acciai per l’edilizia.

Nella Bassa friulana, dall’inizio degli anni Settanta è attivo lo stabilimento Acciaierie e Ferriere Porto Nogaro S.p.A., che cessa la produzione nel 1993. Alla fine del decennio, sull’area riprendono le attività siderurgiche in seguito all’acquisizione degli impianti da parte della società Trametal S.p.A. e del gruppo Marcegaglia, che sfruttano le condizioni logistiche integrate dell’area – collegamenti portuali, ferroviari e autostradali –.

Nel 1949 a Pordenone avvia i suoi lavori la Cimolai. Attualmente importante azienda di progettazione e costruzione di strutture metalliche – con circa 3500 dipendenti –, nasce come laboratorio artigiano di carpenteria leggera. Negli anni Sessanta e Settanta beneficia del boom economico e dello sviluppo della tecnologia dell’acciaio e articola la produzione su più stabilimenti – a Pordenone e a Polcenigo–. Negli anni Ottanta conosce una larga espansione sul mercato estero che viene sostenuta dalla costruzione di nuovi impianti produttivi fuori regione. Con l’acquisizione di aziende specializzate in meccanica e carpenteria il gruppo amplia e diversifica la produzione. Nel 2003 apre uno stabilimento a San Giorgio di Nogaro e dal 2007 intraprende la produzione di tubi di grande spessori e strutture e scafi navali, e nel 2011 avvia un sito produttivo a Monfalcone.

Nell’Isontino il polo siderurgico progettato tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta non riesce a decollare. Gli stabilimenti della Siderurgica Monfalcone (SI.MO.), della Laminati Lisert e delle Acciaierie Alto Adriatico – pensati anche come indotto funzionale per i cantieri navali e le altre aziende meccaniche e metallurgiche dell’area – cessano gradualmente le attività negli anni Ottanta. La goriziana SAFOG, non senza difficoltà e un ultimo passaggio alla società SWI (Specialsalds Welding International), rimane in attività sino al 2017.

 

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